sabato 19 ottobre 2013

Acqua calda


Le difficoltà con le quali apprendevo la disciplina erano immani. I miei movimenti erano impacciati e lenti. Mi trovavo sempre in anticipo o in ritardo rispetto al resto degli allievi e iniziavo a credere di aver scelto, per il mio svago, una scuola troppo severa. Dopo due mesi di tentativi frustranti avevo deciso, seppur a malincuore, che  avrei abbandonato il dojo. Prima di lasciare il gruppo, i cui componenti erano secondo me tutti bravissimi, cercai  il coraggio per affrontare il maestro, salutarlo e ringraziarlo per il suo impegno. Mi avvicinai a lui con circospezione, ripetendo mentalmente le frasi che avrei usato per il commiato, ma il suo sguardo mi sorprese ed ebbi ancora una volta la sensazione di essere fuori tempo e la certezza di aver sbagliato il momento. Il maestro era lì davanti a me ed io non sapevo come spiegargli quello che mi stava capitando. Il suo sorriso, d’un tratto, mi parve come un salvagente lanciato ad un naufrago e le sue parole un invito inderogabile:” Oggi alle sette, dopo la lezione, preparerò il tè, mi piacerebbe se tu mi facessi compagnia.” Tutto il mio ripetere a me stesso la mia inadeguatezza, tutta la tensione che avevo accumulato e buona parte della mia rassegnazione sparirono spiazzati da quel semplice invito. L’ora di esercizi volò e a me sembrò addirittura di essere più bravo, il mio ritmo era fluente e i tempi di esecuzione finalmente precisi. Alle sette in punto mi presentai ansioso all’appuntamento con il mio sensei, il maestro non c’era ma l’aria già profumava di tè e su un piccolo tavolo basso c’era una tazza già piena di acqua fumante. Pensai a qualche strano cerimoniale orientale e rimasi in attesa seduto in silenzio. Il maestro comparve all’improvviso mentre ancora girovagavo con la mente alla ricerca dei motivi di quell’invito, in mano aveva una bellissima teiera dalla quale proveniva un soave profumo di gelsomino. Egli senza degnarmi di uno sguardo si sedette di fronte a me e, con lentezza studiata, iniziò a versare il preziosissimo tè nella tazza già colma d’acqua che io avevo davanti. Chiaramente il tè , superato il bordo, iniziò a scorrere sul tavolino, quindi raggiunse il pavimento. Io ero imbarazzato, e  pur non sapendo se, in quanto ospite, per me fosse lecito intervenire,  esclamai con un tono di voce che mi sembrò ridicolo:” Maestro, si sta bagnando il tatami…” Lo sguardo severo del sensei si mutò in un sorriso:” Vedi! Questa tazza piena d’acqua fumante è la tua mente, non potrai gustare il mio tè se prima non la svuoti. Se vuoi seguire il dò devi lasciare i tuoi pensieri fuori da questo luogo, solo così troverai il ki.” Come avesse fatto a capire i miei dubbi, e quanto avesse studiato il mio comportamento rimasero per me un mistero; quello di cui fui immediatamente sicuro è che  avrei continuato a seguire diligentemente la via, ma che la distanza tra me e lui sarebbe rimasta incolmabile.

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