giovedì 15 novembre 2012

Cento occhi


Quando sento raccontare in maniera precisa che ogni anno di un cane equivale a sette anni di un uomo, mi viene da sorridere.
Penso che il tempo sia un fattore molto più soggettivo; per esempio, un anno di prigione non può essere commisurato ad un anno di vacanze.
Sono certo che la necessità di avere dei parametri di comparazione serva solo a rimarcare la superiorità umana nei riguardi degli altri esseri, e anche qui avrei qualcosa da eccepire, visto che comunque esistono specie più longeve di quella umana.
Per me le cose vanno ragionate meglio, ci sono parametri come le crisi economiche, le guerre e le malattie che comunque hanno un peso nell’arco di un’esistenza, per alcuni fortunati nessuna di queste eventualità si verifica e la vita trascorre in maniera serena.
Per quelli come me le cose vanno diversamente, proprio nel fiore degli anni subiscono un dolore e  a quel punto c’è poco da scegliere.
Io , per quanto tradito, per quanto abbandonato e umiliato, ho deciso di vivere ostinandomi ad attendere che succeda qualcosa o che qualcuno mi spieghi.
In realtà all’inizio della mia esistenza e per alcuni anni successivi  ho speso il mio tempo in maniera felice.
Ma all’improvviso e senza che nessuno mi avvisasse di cosa stesse accadendo, la vita per me è diventata un inutile susseguirsi di giorni, il cui  unico scopo  è stato l’attesa.
E io ho aspettato.
Per molti morire felici è impossibile; io invece sono stato fortunato perché, lo so per certo, il suo volto in anni di battaglie e di avventure non era mai stato solcato da una lacrima. L’unica mai comparsa nei suoi occhi il mio amico l’ha dedicata a me, quando, fatto ritorno ad Itaca dopo tanti e tanti giorni, per un secondo i nostri sguardi si sono ritrovati, e io ho capito che la mia attesa era finita.

uando sento parlareq

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