martedì 17 luglio 2012

La cerimonia del tè



Per noi occidentali la testa è la parte più importante dell’uomo; la mente, il pensiero, i sentimenti,  sono tutte cose che afferiscono alla nostra scatola cranica, o meglio a quello che c’è dentro.
Noi, anche se parliamo di cuore riferendoci ai sentimenti, o di fegato per quanto riguarda il coraggio sappiamo che tutto passa per il nostro cervello.
Per gli orientali, specie per i Giapponesi, questa teoria viene ribaltata completamente  e un bravo maestro Zen sa che anche il respirare, che è la cosa più normale che l’uomo fa, va fatto con i piedi.
La capacità che noi occidentali abbiamo di perdere di vista l’essenza delle cose per loro è paradossale  e porta noi- della testa-ad essere considerati dei selvaggi. Gaijin,  persone dal naso grosso.
Per noi prendere il tè significa: chiacchierare, scegliere l’aroma, mettere o meno lo zucchero, aggiungere un goccio di latte o una fetta di limone; quindi tiriamo fuori una bella scatola di biscotti o dei pasticcini e il pomeriggio è risolto.
 Il tempo che un giapponese  dedica ad imparare a eseguire perfettamente la cerimonia del tè rende chiara la differenza che esiste tra bere il tè e prepararsi  a  bere il tè.
L’azione di portare la tazza alle labbra conclude qualcosa il cui valore fondamentale sta nell’attenzione che viene posta in ogni minimo dettaglio, attenzione che il maestro concede ai suoi ospiti.
Gli animali questo lo sanno  e ,anche se non amano in maniera particolare il tè, amano in maniera  radicale l’impegno che noi mettiamo nell’accudirli, un po’ come i nostri figli che a noi sembra piangano perché hanno fame, in realtà vogliono solo essere badati.

2 commenti:

  1. Scrivere è, in un certo senso, andare a un appuntamento.
    - Con chi? In che luogo? A che ora?
    - La stessa aspettativa, il sudore delle mani, la mente in bianco, e così la pagina.
    - Però lui, scrive?
    - ... e compose il numero e confermò l'appuntamento e ascoltò quella voce come ricamata su tutto il corpo.
    - Però quale? Però chi?
    - Ci sono foto di riviste, chiacchiere.
    - Quando? Dove?
    - Lui entra in bagno, si pettina, si spettina, s'improfuma e già ha deciso: andrà a prendersi un caffé.
    - È presto, vero?
    - L'orologio è un invalido che racconta storie crudeli.
    - Avanti, avanti. Perché?
    - Lei attraversa la porta, indiavolata, imbiancata e
    avanza indaffarata, infine, tutta truccata.
    - Per favore, continui!
    - Non ci sono parole, è unica.
    - E lui?
    - È già in piedi e le tende una mano.
    - E lei?
    - Passa veloce, dice: "non lo conosco".
    (Jorge Boccanera, da "Sordomuta", Lietocolle 2008)

    adalgisa

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    Risposte
    1. Le pagine scritte conducono da qualche parte.
      Le pagine bianche vogliono essere condotte da qualche parte.

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